Ghostwriter freelance
A nove anni il mio primo cliente: con qualcuno dovevo pur iniziare
“Sono una ghostwriter freelance.”
“Un cosa?”
“Una ghostwriter, una scrittrice fantasma, significa che scrivo testi per altri”
“E ti pagano?”
“Ci mancherebbe, scrivo per beneficenza!”
Grossomodo è così che inizia la conversazione con chiunque mi domandi che mestiere io faccia.
Nove volte su dieci mi sento chiedere se davvero mi paghino per farlo. Chi non me lo domanda è perché pensa che io stia scherzando. La mia quotidianità è scrivere, riscrivere, correggere, adattare e tutto sempre nel più incredibile anonimato. I miei clienti non vogliono si sappia che spesso non fanno distinzione tra l’obiettivo e l’obbiettivo della loro fotocamera o non riconoscono la differenza tra miro e mi iro che, per quanto arcaico, crea scompensi.

Il mio primo incarico lo ottenni a nove anni da Giulio, il mio compagno di banco. Innamorato di Mirella, mi implorò di scrivere una poesia dedicata a lei. Provai a fargli intendere che Mirella non si sarebbe mai lasciata conquistare da lui ma, con tutta evidenza, non trovai le parole giuste. Scrissi la poesia.
"Mirella, le tue trecce sono belle e nere,
quando ti muovi sembri un cavaliere."
Ammeto, oggi, che forse non mi immedesimai a sufficienza in Mirella, in ogni caso sarebbe stata una guerra persa in partenza. Lei non amava nessuno oltre la maestra. Da subito, però, imparai una regola fondamentale per il mio futuro mestiere, ovvero che fare parlare gli altri era molto più facile che farli ragionare.
Fu questo il mio debutto nel mondo del ghostwriting. Da quel momento la mia carriera fu un crescendo di incarichi sempre più prestigiosi. Il giornalino scolastico, quello dell’oratorio, le letterine scritte su richiesta dei compagni per la Festa della Mamma, del Papà, della Sorella, del Gatto, del Vattelapesca e oltre.
Al liceo scrivevo le tracce dei temi per quelli della sezione D ai quali venivano dati gli stessi titoli assegnati a noi della C due giorni prima.
All’università scrissi almeno quattro tesi oltre la mia. Potrei dire di essermi laureata in Lettere, poi in Storia, in Scienze Politiche e perfino in Veterinaria.
Se mi facevo pagare? Certo che sì.
La tesi di veterinaria fu la più remunerativa anche perché il committente era figlio di un noto docente di quella stessa facoltà, il che rendeva il mio lavoro doppiamente prestigioso, dunque oneroso.
La voce si sparse, tanto che un giorno venni contattata da un aspirante politico dell’allora Partito Socialista Italiano, il quale mi chiese di preparare per lui un discorso sulla nascente Unione Europea. Lo feci. Mi pagò la prima tranche e sparì. E così, mentre io affinavo il ghostwriting, lui perfezionava l’arte del ghosting.
Che il mio non sia un mestiere per tutti appare evidente già da queste prime righe. Essere un ghostwriter significa avere il talento di un grande autore unito all’anonimato del vicino di casa.
Il ghostwriter è un professionista della scrittura che lavora dietro le quinte, trasformando idee, pensieri e messaggi altrui in testi di qualità. A differenza di un autore tradizionale, il ghostwriter cede la paternità del proprio lavoro al cliente, il quale si presenta come l’effettivo autore del testo. In pratica, io scrivi tu firmi!
A ogni nuovo incarico devo entrare nella mente del cliente, catturarne la voce, il tono e lo stile, per poi trasporli in forma scritta in modo fluido e naturale. Per riuscirci, oltre la conoscenza della grammatica, si richiedono: versatilità, discrezione e un’elevata capacità di adattamento.
Siamo dei veri e propri camaleonti capaci di scrivere un'autobiografia di successo al mattino e un saggio sulla nutraceutica al pomeriggio, senza perdere la sanità mentale.
Per adesso è tutto. Un debutto leggero questo. Prossimamente aneddoti, casi studio e qualche indicazione tecnica in più.
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